Nel 2007, Daniela Candeloro, avvocata e commercialista, fu arrestata e posta in custodia cautelare con l’accusa di essere parte attiva nel crac finanziario legato all’imprenditore Danilo Coppola. Trascorse un anno in carcere. Dopo un procedimento durato sei anni e mezzo, fu assolta con la formula “perché il fatto non sussiste”.
L’accusa si basava sull’ipotesi che un fallimento societario costituisse il presupposto del reato di bancarotta, poi risultato insussistente. L’assenza del presupposto di fallimento, riconosciuta successivamente anche in sede civile, ha reso infondata l’imputazione.
Candeloro ha presentato richiesta di indennizzo per ingiusta detenzione, ma la Corte d’Appello ha inizialmente respinto l’istanza, ritenendo che l’errore non fosse imputabile al magistrato penale, bensì alla giustizia civile. Il caso è stato rinviato in Cassazione.