Diego Olivieri, imprenditore veneto attivo nel settore conciario, fu arrestato nella notte senza ricevere inizialmente spiegazioni sulle accuse a suo carico. Gli fu notificato un faldone contenente accuse gravi, tra cui associazione mafiosa, riciclaggio internazionale di 600 milioni di dollari, insider trading e traffico di stupefacenti.
Il giorno successivo all’arresto, la notizia fu pubblicata con ampio risalto sulla stampa nazionale, in particolare sul Corriere della Sera, dove venne citato per nome e associato a una rete internazionale di riciclaggio legata a clan italo-canadesi. Il clamore mediatico ebbe ricadute immediate sulla reputazione personale e sulla solidità dell’impresa di famiglia. Olivieri fu detenuto nel carcere di Rebibbia, dove ebbe accesso limitato alla famiglia e subì un notevole calo di peso fisico.
Dopo alcuni mesi, fu annunciata la scarcerazione di Diego Olivieri, ma fu subito emesso un nuovo ordine di arresto, fondato sugli stessi atti già notificati, con una nuova imputazione. Il processo, una volta avviato, rivelò l’assenza di elementi probatori solidi. Olivieri e gli altri 18 imprenditori imputati furono assolti in primo grado. Tuttavia, nel frattempo, era stata applicata nei suoi confronti una misura di prevenzione patrimoniale che coinvolse anche i beni intestati ai figli. Nessuno dei coinvolti ricevette un risarcimento. In seguito all’esperienza giudiziaria, Olivieri ha fondato una onlus e ha pubblicato un libro. È stato ascoltato, insieme ad altre vittime di errori giudiziari, dal ministro della Giustizia nel 2018.
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